La merce siamo noi
di Paolino Accolla
Le nostre emozioni, i nostri sogni, le nostre ambizioni e i nostri comportamenti sono diventati preziosi per l'industria. Che li usa per creare oggetti del desiderio cui non sapremo resistere: perché li abbiamo inventati noi. Benvenuti nell'era del biocapitalismo
'Coca-Cola... Coca-Cola'. Il vecchio Vasco non intendeva certo fare pubblicità. Nella canzone alludeva probabilmente a qualcosa di molto più frizzante della bibita. Ma giocando di doppi sensi con quel nome, ha finito per celebrarlo. Con l'evoluzione dell'economia di libero mercato, che gli esperti cominciano a chiamare biocapitalismo, siamo tutti diventati veicoli pubblicitari, ma anche consulenti industriali e prodotti di consumo: la merce siamo noi. E siamo in vendita giorno e notte.
"Il capitalismo oggi pervade la vita quotidiano", spiega a 'L'espresso' il sociologo dei consumi Vanni Codeluppi: "Superata la fase in cui sfruttava il lavoro dell'uomo e la soddisfazione dei suoi bisogni materiali, ora ingloba nel meccanismo di produzione della ricchezza le nostre emozioni e il tempo libero. Che è diventato un nuovo tipo di lavoro". Il liceale griffato da capo a piedi è una vetrina ambulante. La sua ragazza, quando passa ore su Internet a caccia di nuovi cosmetici, offre alle aziende preziose indicazioni di marketing.
"L'idea di biocapitalismo poggia su due concetti: quello filosofico-politico di biopotere (per Michel Foucault, la tendenza del sistema a controllare i cittadini per integrarli nella produzione), e quello tecnico-industriale di biocapitale, legato cioè al mercato del corpo, come il commercio di organi e tessuti umani, il copyright di farmaci o Dna e la chirurgia estetica", chiarisce Codeluppi, che insegna all'Università di Modena e Reggio Emilia ed è autore di 'Il biocapitalismo', in uscita a fine mese da Bollati-Boringhieri.
A questa nuova fase gli studiosi hanno dato finora nomi diversi: capitalismo cognitivo, economia del simbolico, accumulazione flessibile, economia immateriale. Che comunque significano una cosa: l'industria utilizza come materie prime anche le nostre conoscenze, esperienze, emozioni, desideri e aspirazioni
. Per inondare il mercato di prodotti che valgono non tanto per la loro utilità, ma perché procurano sensazioni, fanno sognare, conferiscono status, comunicano valori sociali. 'Indossa Chi Ti ama', strizza l'occhio La Perla; cattura 'Il Potere Dei Sogni', incalza Honda; abbraccia il mondo e tutte le sue razze con gli United Colors, invita Benetton.
"L'azienda", prosegue Codeluppi, "pensa ormai come un grande cervello di cui fa parte anche il consumatore, coinvolto attraverso una retorica della partecipazione che gli è presentata come libera scelta, ma non lo è. La dimensione dell'individuo tende a scomparire per essere sostituita dal rapporto consumatore-azienda. I ruoli delle due parti si confondono, tra produttore e consumatore diventa simbiosi".
L'individuo può solo decidere cosa consumare, scegliendo i prodotti che sente più suoi. "Con questi si costruisce un'identità, persa quella un tempo determinata dall'appartenenza a gruppi familiari, nazionali, professionali", dice Codeluppi. Polverizzata da globalizzazione e benessere diffuso.
Sottrarsi non è impossibile, ma la dinamica dei consumi, che obbliga le aziende a monitorare bisogni individuali e costumi, alla fine permette di correggere strategie di vendita e ideare merci e servizi sempre più mirati. E nuovi bisogni: "Il vero motore della crescita". I dipendenti di Google sono tenuti, per contratto, a passare il 20 per cento del tempo lavorativo a 'farsi venire idee', sfruttando gli input dei consumatori. Ogni reclamo, critica e manifestazione no global, impone a chi vende di modificare contenuti e confezioni della merce, e individuare lo stile più politicamente corretto per vendere. La domanda di equosolidale cresce? Quella di cibi con grassi idrogenati cala? Le imprese si adeguano. Così come aggiustano il tiro dell'offerta attraverso ogni spesa fatta con fidelity card o bancomat, che forniscono un profilo dei gusti di chi compra. Lo stesso vale per le ricerche fatte dai consumatori in Rete: fondamentali per lo sviluppo di nuovi prodotti e pubblicità. Non a caso in questa fase di crisi dell'economia occidentaleuna delle poche voci in forte crescita è il search advertising
La simbiosi azienda-consumatore si estende anche ad ambiti commerciali tradizionali. È il caso di Ikea che, abbattuti i prezzi abolendo il concetto di arredamento preconfigurato, ha delegato il compito di montare i mobili a chi compra. Che paga così, con il tempo libero trasformato in lavoro, quanto ha risparmiato in denaro.
La marca è il volto e la voce amica con cui le aziende si rivolgono ai consumatori per stabilire familiarità. Persino ospedali e università si dotano di un logo e presentano un'immagine imperniata sul prestigio del nome più che sul servizio. E le aziende diversificano l'offerta per proporsi come veicolo di stile di vita: nei suoi outlet la Mercedes vende anche biciclette, guanti e accessori. Per Zegna gli accessori rappresentano ormai quasi metà del fatturato.
Il concetto di marca si è perfino imposto su chi è imprenditore di se stesso. Qualche tempo fa Vicky Lee, una sorta di velina inglese, ha raccontato che a 27 anni si è già sottoposta a 41 interventi di chirurgia plastica. Ogni ritocco la fa sentire più sicura, consolida la sua carriera di cover girl, la sua identità. In modo completamente diverso, persino l'ultralternativo Beppe Grillo risponde a questa logica di marca: per promuovere la sua immagine si è affidato alle arti della premiata ditta Casaleggio.
Ma lui è una star. Casalinghe, operai, commesse e impiegati si accontentano dell'immagine acquisita da un marchio: devono solo scegliere se entrare nella tribù di facce pulite che usa il tam-tam di Tim, nel più arcano popolo della notte che carbura a Bacardi, o magari in entrambi i gruppi. Il biocapitalismo incoraggia la pluriappartenenza. Chi Vespa non è condannato a mangiare solo mele: gli basta investire qualche decina di euro per diventare titolare di una maglietta rosso fiamma con cavallino rampante. E rivendicare, a pieno diritto, l'affiliazione all'esclusivo club dei ferraristi.una delle poche voci in forte crescita è il search advertising, la pubblicità che compare sulle pagine di Internet quando si fa una ricerca. Non a caso Google ritiene di poter contare su una solida posizione di mercato per il 2008 e oltre, secondo l'amministratore delegato Eric Schmidt, "comunque vadano le cose".
Le analisi sui consumi che le società di marketing vendono a peso d'oro a produttori e distributori, senza rivelare nomi e cognomi, sono entrate addirittura in politica. I candidati in lizza per la Casa Bianca non nascondono di basare le loro strategie anche sui rilevamenti di mercato, secondo cui i democratici più progressisti amano olio d'oliva e cibi biologici, mentre i repubblicani più conservatori preferiscono burro e prodotti lavorati dall'industria.
La conoscenza è indispensabile per un rapporto di fiducia e, come in politica, si muove in due direzioni anche nel rapporto azienda-consumatore. C'è la conoscenza che va dal produttore al consumatore e quella in senso inverso. Per il nuovo hotel a Port of Spain la multinazionale alberghiera Hyatt ha scelto il nome Global Hyatt Trinidad dopo aver scoperto con ricerche on line che l'isola caraibica è più nota come Trinidad. Nokia ha invece chiesto ai consumatori di partecipare al futuro del suo Sports Tracker, suggerendo via Web nuove funzioni per questo telefonino dotato di posizionamento satellitare.
Le imprese, per gli analisti industriali, non possono più fare a meno del contributo del cosiddetto 'giudizio dei più'. Bussola per capire il mercato, il contributo dei consumatori ispira un nuovo tipo di sviluppo, la 'wikieconomia' (sul modello di Wikipedia), che cresce di ora in ora con l'apporto di chiunque senta bisogno o voglia di metterci del suo. Il bello è che il sistema funziona nei settori più diversi, informazione compresa, vedi lo spazio dedicato dai siti di giornali e tv al citizen journalism, che consente a chiunque di diventare fornitore di notizie.È grazie alle immagini riprese col telefonino da un passante e inviate ai media che sono stati identificati gli autori della recente spedizione punitiva contro gli extracomunitari del Pigneto a Roma
'Coca-Cola... Coca-Cola'. Il vecchio Vasco non intendeva certo fare pubblicità. Nella canzone alludeva probabilmente a qualcosa di molto più frizzante della bibita. Ma giocando di doppi sensi con quel nome, ha finito per celebrarlo. Con l'evoluzione dell'economia di libero mercato, che gli esperti cominciano a chiamare biocapitalismo, siamo tutti diventati veicoli pubblicitari, ma anche consulenti industriali e prodotti di consumo: la merce siamo noi. E siamo in vendita giorno e notte.
"Il capitalismo oggi pervade la vita quotidiano", spiega a 'L'espresso' il sociologo dei consumi Vanni Codeluppi: "Superata la fase in cui sfruttava il lavoro dell'uomo e la soddisfazione dei suoi bisogni materiali, ora ingloba nel meccanismo di produzione della ricchezza le nostre emozioni e il tempo libero. Che è diventato un nuovo tipo di lavoro". Il liceale griffato da capo a piedi è una vetrina ambulante. La sua ragazza, quando passa ore su Internet a caccia di nuovi cosmetici, offre alle aziende preziose indicazioni di marketing.
"L'idea di biocapitalismo poggia su due concetti: quello filosofico-politico di biopotere (per Michel Foucault, la tendenza del sistema a controllare i cittadini per integrarli nella produzione), e quello tecnico-industriale di biocapitale, legato cioè al mercato del corpo, come il commercio di organi e tessuti umani, il copyright di farmaci o Dna e la chirurgia estetica", chiarisce Codeluppi, che insegna all'Università di Modena e Reggio Emilia ed è autore di 'Il biocapitalismo', in uscita a fine mese da Bollati-Boringhieri.
A questa nuova fase gli studiosi hanno dato finora nomi diversi: capitalismo cognitivo, economia del simbolico, accumulazione flessibile, economia immateriale. Che comunque significano una cosa: l'industria utilizza come materie prime anche le nostre conoscenze, esperienze, emozioni, desideri e aspirazioni
. Per inondare il mercato di prodotti che valgono non tanto per la loro utilità, ma perché procurano sensazioni, fanno sognare, conferiscono status, comunicano valori sociali. 'Indossa Chi Ti ama', strizza l'occhio La Perla; cattura 'Il Potere Dei Sogni', incalza Honda; abbraccia il mondo e tutte le sue razze con gli United Colors, invita Benetton.
"L'azienda", prosegue Codeluppi, "pensa ormai come un grande cervello di cui fa parte anche il consumatore, coinvolto attraverso una retorica della partecipazione che gli è presentata come libera scelta, ma non lo è. La dimensione dell'individuo tende a scomparire per essere sostituita dal rapporto consumatore-azienda. I ruoli delle due parti si confondono, tra produttore e consumatore diventa simbiosi".
L'individuo può solo decidere cosa consumare, scegliendo i prodotti che sente più suoi. "Con questi si costruisce un'identità, persa quella un tempo determinata dall'appartenenza a gruppi familiari, nazionali, professionali", dice Codeluppi. Polverizzata da globalizzazione e benessere diffuso.
Sottrarsi non è impossibile, ma la dinamica dei consumi, che obbliga le aziende a monitorare bisogni individuali e costumi, alla fine permette di correggere strategie di vendita e ideare merci e servizi sempre più mirati. E nuovi bisogni: "Il vero motore della crescita". I dipendenti di Google sono tenuti, per contratto, a passare il 20 per cento del tempo lavorativo a 'farsi venire idee', sfruttando gli input dei consumatori. Ogni reclamo, critica e manifestazione no global, impone a chi vende di modificare contenuti e confezioni della merce, e individuare lo stile più politicamente corretto per vendere. La domanda di equosolidale cresce? Quella di cibi con grassi idrogenati cala? Le imprese si adeguano. Così come aggiustano il tiro dell'offerta attraverso ogni spesa fatta con fidelity card o bancomat, che forniscono un profilo dei gusti di chi compra. Lo stesso vale per le ricerche fatte dai consumatori in Rete: fondamentali per lo sviluppo di nuovi prodotti e pubblicità. Non a caso in questa fase di crisi dell'economia occidentaleuna delle poche voci in forte crescita è il search advertising
Ultimi commenti